Bugie e improvvisazioni, questo il risiko del governo sulle tasse. Venduta per nuova una misura vecchia e conquistata dal sindacato. Per di più i conti sono sbagliati e il ceto medio ci perde.
Una vera partita di giro, in perdita. È quello che il governo ha approntato per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti attraverso i provvedimenti sul fisco contenuti nella manovra. Una partita di giro e probabilmente anche un gran pasticcio visto che il dl fiscale è stato rimandato in Consiglio dei ministri per correzioni non si sa di che natura.
Quel che è chiaro è che Meloni e Giorgetti vendono per la terza volta lo stesso provvedimento che Cgil e Uil avevano conquistato scioperando (lo sciopero serve!) all’epoca del Governo Draghi. Per di più, quest’anno portando la riduzione del cuneo dai contributi all’Irpef i dipendenti ci perdono pure.
Le tasse non si abbassano
Innanzitutto è bene tenere a mente che non solo non c’è nulla di nuovo rispetto a quanto ottenuto dal Governo Draghi, ma il taglio del cuneo di quest’anno, pari a circa 17 miliardi, viene tutto pagato dagli stessi lavoratori e lavoratrici cui si applica. Perché? Semplice: 17 miliardi è proprio la cifra che i dipendenti hanno pagato in più nel 2024 a causa soprattutto del drenaggio fiscale che non viene restituito.
Questo vuol dire che con i rinnovi contrattuali e la rivalutazione delle pensioni è cresciuto il reddito nominale, ma con esso anche la pressione fiscale, decurtando il reddito effettivo delle persone. Davvero un triste risultato. Ovviamente sottaciuto dal governo.
Aumentano le diseguaglianze
Lo afferma l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) in audizione davanti alle Commissioni parlamentari che stanno esaminando la manovra: “La riforma aumenta le già ampie differenze nel trattamento fiscale delle diverse categorie di contribuenti dipendenti, pensionati e autonomi”. Non solo, ma tra bonus, detrazioni, mancate detrazioni e aliquote Irpef tutto diventa più difficile, anche soltanto capire quale regime fiscale si applica alle singole buste paga.
Si legge infatti ancora nella memoria dell’Upb: “La compresenza di tre strumenti per la riduzione del prelievo sul lavoro dipendente, che interagiscono tra loro in modo articolato, produce un’architettura fiscale complessa e difficilmente intellegibile per i suoi destinatari”.
Il ceto medio ci perde
Alla fine questo è il risultato, secondo i calcoli di uno studio della Cgil e del Sistema Caaf nazionale: con il passaggio dalla decontribuzione alla fiscalizzazione dei benefici, la stragrande maggioranza dei lavoratori non solo non vedrà 1 euro in più in busta paga, ma ci perderà pure: fino a 200 euro annui sotto i 35 mila, e con punte di perdita anche di 1.000 euro in alcune fasce.
Davvero un bel risultato. Se a questo si aggiunge che per effetto dei tagli agli enti locali e alle Regioni le addizionali regionali e comunali sono destinate ad aumentare, certamente non a scendere, e che gli scaglioni sono sempre gli stessi, è facile comprendere come alla fine, complessivamente, la pressione fiscale aumenterà. Ma non per tutti, solo per lavoratori e lavoratrici dipendenti e pensionati. Insomma, si tratta di una “grande partita di giro a saldo zero”, con il governo che con una mano dà, con l’altra si riprende tutto.
Dilettanti allo sbaraglio
Passare dal sistema contributivo a quello fiscale per ridurre il cuneo, cosa buona a giusta suggerita da Upb, Banca d’Italia e Corte dei conti, prevede una capacità di far di conto che forse manca a chi ci governa. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, sembra che questo passaggio comporterà non solo un aumento delle aliquote effettive (sulla carta sono tre, ma rischiano di essere di più), ma mettendo insieme i diversi strumenti, dai bonus all’accorpamento delle aliquote e alla riduzione delle detrazioni fiscali, la pressione fiscale effettiva sui redditi medi rischia di sfiorare e forse superare il 50%. Non è un caso che – come detto – tutto torna in Consiglio dei ministri.
Sciopero generale perché
Occorre rimediare a tutti questi errori e distorsioni. Occorre imparare a far di conto, soprattutto bisogna fare un bagno di realtà. La condizione economica del Paese è ben diversa da quella che viene propagandata. Ricorda la Cgil: “Il Pil cresce dello zero virgola; la domanda interna ristagna, mentre l’export - ad agosto - ha perso il 6,7% in valore (e il 10,7% in volume) sull’anno precedente”.
E ancora: “La produzione industriale cala da 20 mesi consecutivi; precarietà, lavoro nero e sommerso colpiscono sei milioni di lavoratrici e lavoratori;
l’evasione fiscale e contributiva è a quota 82,4 miliardi; l’inflazione cumulata nel triennio 2021/2023 è stata del 17,3%, con conseguente decurtazione dei salari”.
L’appuntamento è venerdì 29 novembre in oltre 40 piazze d’Italia: lavoratori e lavoratrici sciopereranno per rivendicare il cambiamento dell’Irpef in manovra, un diverso modello sociale ed economico a partire da un fisco proporzionale e progressivo, con una reale capacità di redistribuzione della ricchezza così come Costituzione vuole.